Il 23 marzo 2002 è entrato in vigore il D. Lgs. 2
febbraio 2002, n. 25 "Attuazione della direttiva 98/24/CE
sulla protezione della salute e della sicurezza dei
lavoratori contro i rischi derivanti da agenti chimici
durante il lavoro". Le nuove aziende lo debbono
applicare da subito, tutte le altre dal 23 di giugno.
Il Decreto merita la massima attenzione per diversi
motivi infatti modifica il titolo del D. Lgs. 626/94, vi
aggiunge il Titolo VII-bis, vi modifica gli articoli 89,
90 e 92 (sulle sanzioni), vi introduce quattro allegati
riguardanti i valori limite di esposizione, i valori
limite biologici, un piccolo elenco, obsoleto, di
sostanze oggetto di divieti, delle norme UNI EN per
l'effettuazione delle misurazione ambientali. Lo stesso
abroga il Capo II e gli allegati I, II, III, IV e VIII
del D. Lgs. 277/91, il D. Lgs. 77/92 e le voci da 1 a 44
e 47 della tabella allegata all'articolo 33 del D. P. R.
303/56.
Maggiore attenzione meritano le innovazioni concettuali
che il nuovo decreto potrebbe essere in grado di
apportare trasferendole diffusamente nella pratica
quotidiana della prevenzione nei luoghi di lavoro:
propone dei "requisiti minimi" i quali, come
avrebbe già potuto fare il governo nell'atto di
trasposizione, potrebbero, in teoria, essere modificati
per "competenza concorrente", in senso
migliorativo rispetto alla direttiva originaria, dai
singoli governi regionali; dovrebbe far capire anche agli
irriducibili che la valutazione dei rischi (in questo
caso di tutti quelli chimici) non è fine a se stessa ma
è mero strumento per provare l'efficacia delle misure di
prevenzione adottate o per cambiarle e migliorarle
secondo una precisa gerarchia di interventi; pretende che
siano adottati strumenti tecnici quali i valori limite e
delle norme di buona pratica per l'igiene industriale.
Utili, perché specifiche, sono le disposizioni in caso
di incidenti o di emergenze.
E' prevedibile che nei prossimi mesi le innovazioni
prospettate sollevino un ampio dibattito tra gli
interessati e gli addetti ai lavori e che questo si
concentri su almeno tre ordini di problemi, la
sorveglianza sanitaria, l'effettuazione di misure
ambientali, l'opportunità di "semplificazione"
degli adempimenti a partire da una buona valutazione dei
rischi.
La sorveglianza sanitaria è stata, anche per via
legislativa, liberata da pastoie di vecchio regime; non
deve essere più svolta con periodicità indicibili ed a
prescindere dalle operazioni di valutazione e gestione
dei rischi.
In sostanza il medico del lavoro non sarà "competente"
per la assiduità con cui effettuerà le visite mediche a
lavoratori individuati in basa alla "presunzione"
del rischio, ma per la volontà e la capacità di
inserirsi nel processo complessivo di prevenzione in
azienda.
Da questo punto di vista il Decreto sarebbe stato più
chiaro se avesse riportato fedelmente il testo della
Direttiva: "La sorveglianza sanitaria, dei cui
risultati si tiene conto nell'applicazione delle misure
di prevenzione sullo specifico luogo di lavoro, è
appropriata quando: - è possibile stabilire un nesso tra
l'esposizione del lavoratore a un agente chimico
pericoloso e una malattia identificabile o effetti
pregiudizievoli sulla salute; e - esiste la probabilità
che la malattia e gli effetti possano verificarsi nelle
particolari condizioni del lavoratore
".
Grave è il fatto che qualcuno abbia fatto inserire, per
fini reconditi ma destituiti di qualsiasi base
scientifica ed epidemiologica, la clausola secondo la
quale la cartella clinica di ogni lavoratore sottoposto a
sorveglianza sanitaria che interrompa la sua attività
deve essere trasmessa all'ISPESL.
La "misurazione degli agenti" chimici ed il
confronto con i valori limite stabiliti è una esigenza
prospettata a più riprese nella Direttiva. In una realtà
come quella italiana, con scarse tradizioni in questo
campo, la proposta può divenire devastante in molti
sensi. La speranza è quella che prevalgano il buon senso
ed anche le buone pratiche di igiene industriale e che
poco spazio rimanga ad improvvisati misuratori animati
soltanto dal furore di imitare e surclassare il credito
assegnato dalla "seiduesei" ai medici "competenti"
ed ai valutatori d'assalto.
Il problema tanto sentito quanto delicato è quello delle
"semplificazioni" delle procedure. E' sentito
perché una affrettata interpretazione del D. Lgs. 626/94
ha permesso ad alcuni di mettere sullo stesso piano una
cooperativa di rammendatrici con un petrolchimico. E'
delicato a causa soprattutto della indiscriminata domanda
di alcuni gruppi ed associazioni di datori di lavoro di
derogare dalla applicazione di giuste e moderne procedure
di prevenzione; domanda supportata più di recente anche
da alcuni membri del governo centrale.
Una lettura combinata dei vari articoli del Decreto
prospetta la possibilità di classificare le aziende che
impiegano agenti chimici in tre categorie che possiamo
denominare A, B e C.
Nella categoria A ci possono rientrare quelle per le
quali, sulla base di una "giustificazione" (comma
5, Art. 60-quater), (autocertificata ? redatta da un
tecnico "giustificatore" ?) si rende "non
necessaria un'ulteriore valutazione maggiormente
dettagliata dei rischi" e quindi il ricorso a più
rigorose misure di prevenzione. La categoria B scaturisce
dalla introduzione del concetto di "rischio moderato"
(comma 2, Art. 60-quinquies) che può essere invocato (anche
per evitare di mettere a punto misure specifiche di
prevenzione, piani di emergenza e sorveglianza sanitaria)
quando le misure già adottate "sono sufficienti a
ridurre il rischio".
I criteri per la definizione di tale concetto sono
rimasti nella penna o nel P.C. del legislatore essendo
state previste per essi due possibili diversi atti di
nascita; o entro il 7 di maggio, quando le "proposte
delle associazioni di categoria dei datori di lavoro
interessate comparativamente rappresentative, sentite le
associazioni dei prestatori di lavoro interessate
comparativamente rappresentative" potrebbero essere
trasformate in uno o più Decreti dei Ministri del lavoro
e delle politiche sociali e della salute, d'intesa con la
Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le
regioni e le provincie autonome; oppure, in data da
stabilirsi, sempre con dei Decreti, quelli previsti per
recepire i valori limite, verrà determinato il "rischio
moderato", "in relazione al tipo, alle quantità
ed alla esposizione di agenti chimici, anche tenuto conto
dei valori limite indicativi fissati dalla Unione europea
e dei parametri di sicurezza".
Non è comunque prevista una vacatio legis perché "scaduto
inutilmente il termine
[il 7 di maggio], la
valutazione del rischio moderato è comunque effettuata
dal datore di lavoro" (comma 4, Art. 60-ter decies).
Le aziende non "giustificate" e quelle non
etichettabili come a "rischio moderato", certo
con qualche difficoltà interpretativa, dovrebbero
ricadere in una categoria "C" che, trovandosi
nelle condizioni di rischio più che "moderato",
comporta l'obbligo di adottare, secondo precise procedure
tecniche, tutte le misure per ottenere il miglior
controllo possibile del rischio chimico fino a renderlo
inefficace o comunque molto basso.
Lo scenario delineato meriterebbe un diverso
approfondimento, ma in questa sede è possibile fare solo
due brevi osservazioni ed una proposta. La prima
osservazione relativamente all'aggettivo "moderato"
che dovrebbe caratterizzare il rischio; esso ha
semantica, etimologia ed implicazioni pratiche del tutto
dissimile da quelli dell'equivalente aggettivo adottato
nella traduzione della direttiva in tutte le altre lingue
europee ("geringfugiges"; "leve";
"faible"; "slight"; "baixo";
"ringe"; "gerig"; "Kyseisen";
"Ringa" "micro", in greco);
l'equipollenza di tutti questi sarebbe da assegnare
piuttosto a termini italiani quali "basso",
"lieve", "piccolo", "leggero",
"esiguo", ecc..
L'Accademia della Crusca interrogata al proposito
sottolinea le notevoli differenze linguistiche e
semantiche esistenti tra "moderato" ed ognuno
degli altri termini con cui sono, con più coerenza,
traducibili i termini adottati nelle versioni degli altri
paesi europei. E' da considerare infatti che i dizionari
italiani consultati a "moderato" associano il
significato "che sta fra il troppo e il poco".
La seconda osservazione riguarda l'iter legiferativo che
ipotizza una primaria responsabilizzazione delle
associazioni di categoria dei datori di lavoro; a tale
proposito si deve riconoscere che non si tratta di un
iter originale in quanto lo si ritrova molto diffusamente
nella promulgazione della legislazione italiana del
lavoro tra le due guerre mondiali.
La modesta proposta che si vuole avanzare riguarda un
solerte, impegnativo, ma minimo errata corrige della
norma in esame: la sostituzione di "60 mg Pb/100 ml
di sangue" con "60 microgrammi Pb/100 ml di
sangue" (Allegato VIII-quater) e la sostituzione di
"moderato" con "lieve" o "basso"
(Art. 60 quinquies ed Art. 60 ter decies).
Ciò potrebbe rappresentare un preambolo utile e non
soltanto dal punto di vista linguistico per rasserenare
gli animi e procedere verso una applicazione proficua di
una norma molto importante culturalmente e sul versante
pratico.
29 marzo 2002
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