IN RICORDO DI TULLIO AYMONE


Il 28 settembre scorso ci ha lasciato Tullio Aymone, docente di sociologia del lavoro e della industria presso la Facoltà di Economia e Commercio dell'Università di Modena.
Molti di noi hanno avuto la fortuna di conoscerlo perché Tullio ha impegnato gran parte della sua vita di ricercatore e docente in stretto rapporto con le istituzioni e il movimento sindacale, cui ha dato sempre contributi originali e innovativi.
Lo conoscevo da molti anni, incrociandolo spesso nelle sue molteplici attività di ricerca/intervento che lo portarono ad occuparsi di problemi di aggregazione giovanile, di politica culturale e sociale, di sicurezza urbana, di tossicodipendenza, di formazione di quadri direttivi della Pubblica Amministrazione nei tanti seminari che erano la sua modalità specifica di fare ricerca, con i soggetti interessati, coinvolgendo gli studenti, e basandosi sul rapporto tra Università e territorio.
Ma solo negli ultimi anni i nostri rapporti di lavoro e personali (difficili da separare con una persona come Tullio) sono diventati sempre più stretti e mi hanno dato il privilegio di godere della sua amicizia e di poter apprezzare anche le sue qualità umane: la sua modestia, la serenità, l'assenza di ambizione, la capacità critica esente da acredini e personalismi, la pacata saggezza e lungimiranza.
I miei limiti culturali non mi consentono di apprezzare la sua vasta opera di ricercatore perciò proverò a riproporre il suo "metodo" prendendo a prestito le parole dei suoi più stretti amici e collaboratori, ovvero di coloro che considerava la sua "comunità di pensiero", che hanno voluto commemorarlo recentemente nella "sua" Facoltà.
Gli stereotipi che si adottano per i sociologi sono diversi e spesso propongono posizioni opposte che si escludono a vicenda:
- coloro che si occupano di ricerca/azione non producono teoria
- divisione tra sociologi di vallata o di crinale
- separatezza tra sociologi autoriflessivi o rivolti all'esterno.
In realtà Tullio era contemporaneamente tutte queste cose, poiché riusciva a lavorare in modo da superare queste false dicotomie e a cogliere la dimensione di necessaria complementarietà implicite in esse. Perciò era impegnato sul territorio ma anche teorico, di crinale (lo studio si estende dalle selezione scolastica classista dei figli degli immigrati dal Sud a Sesto S. Giovanni, fino alla realtà dell'Amazzonia) e di vallata (inseguendo un punto fisso, riflessivo sul suo ruolo nelle realtà indagate e sul tema della partecipazione nei diversi contesti sociali (di sociologo e osservatore dei popoli indigeni).
Il filo conduttore della sua analisi della sua riflessione teorica è stata la partecipazione che definiva un "processo relazionale e pedagogico" e la ricerca sul campo ed i Seminari sono stati lo strumento principale della sua ricerca/azione.
Adottò la riflessione sul tema della partecipazione dei cittadini alla individuazione di un progetto complessivo di sviluppo, a partire da esperienze locali, parziali, per svolgere il ruolo di instancabile formatore di dirigenti pubblici, sindacalisti, delegati, operatori.
Nella "partecipazione" individuava il tallone d'Achille della sinistra, alla ricerca di una idea diversa di sviluppo.
Lungo questo percorso di riflessione/azione progettuale vedeva 3 ostacoli:
- l'ideologismo, che irrigidisce e priva della umiltà e della fecondità del colloquio.
- L'economicismo e l'efficientismo.
- Il dirigismo, che favorisce gli interessi di chi elabora progetti e non dei cittadini.
Era convinto che si stesse scavando un baratro sempre più profondo tra politica e cultura e che l'economicismo si fosse incistato nella politica e che la partecipazione politica non fosse motivata solo da "interessi" ma anche da elementi di affettività, simbolismo, differenti interpretazioni della realtà, etc.
A questo riguardo non è superfluo ricordare la relazione introduttiva al n. 126 di Inchiesta (1999) dedicato alle "Popolazioni protagoniste dello sviluppo locale nei Paesi del Sud del Mondo" nel quale affrontava il problema della partecipazione comunitaria a progetti di sviluppo e intervento sociale.
Ci ha aiutato a ripensare il valore della solidarietà e l'internazionalismo proponendoci la fatica e l'umiltà dell'inchiesta sul campo, della ricerca teorica, della pratica dei microprogetti, in un'epoca dominata da spettacolarizzazione del dolore e da comode e facile derive assistenzialistiche che si ammantano a volte di ideologia, che è sempre un alibi per l'impotenza dell'analisi politica concreta.
Studiò l'Amazzonia senza piangere sulla foresta minacciata ma parlando degli uomini che la vivono, e la comprese attraverso l'analisi del pensiero e della vita di quegli uomini, che conobbe nei suoi lunghi, faticosi e pericolosi viaggi tra Brasile e Bolivia.
Ci ha reso la figura di Chico Mendez, ma come "seringueiros" "sindacalista", sottraendolo allo stereotipo ambientalista di cui venne ammantato.
L'articolo è una grande lezione per noi, che cerchiamo di occuparci di cooperazione allo sviluppo e che non dovremmo mai dimenticare la frase di Marcio Souza (compagno di lotta di Chico Mendez) che, contestando l'addomesticamento ambientalista costruito attorno al leader dei seringueiros, sosteneva che:
"Noi gente dell'Amazzonia sappiamo che, molto peggio dell'espoliazione, degli abusi, delle uccisioni e del degrado ambientale è aver bisogno della solidarietà. Chi offre solidarietà, molte volte, si giudica giusto e si presenta impermeabile. Se lo sfruttamento uccide e sconquassa, la solidarietà sfibra e asfissia. Contro lo sfruttamento è possibile resistere, ma non c'è nulla che si possa fare contro la solidarietà. Ancor più quando si è poveri e si vive nei tropici".
E con i "poveri" Tullio sviluppò la seconda fase della sua vita di ricercatore.
Dai Moradores delle Favelas alle scuole di Samba (Sambeiros) di Rio de Janeiro, dai seringueiros del Brazil agli indios della Bolivia, dagli agricoltori ai commercianti fluviali, viaggiando e studiando dall'Amazzonia al Senegal con la capacità del montanaro di tollerare la fatica, e con la determinazione dello studioso "applicando concretamente" il suo metodo fatto di:
- immersione nella realtà
- osservazione diretta dei progetti politici e del ruolo dei soggetti
- rapporto con la gente, curiosità, empatia.
Una ricerca che era immediatamente formazione, contratto, relazione interistituzionale al progetto (microprogetti in Amazzonia).
Ricerca come metodo di direzione politica, curiosità scientifica come ricerca di risposte ma anche di nuove domande, inscindibilità del binomio partecipazione - formazione. Mai "capo", spesso "egemone", l'abbiamo accompagnato come non fosse lui a guidarci, gli abbiamo voluto bene tanto naturalmente come se non fosse lui a insegnarci ad amare la vita e lo porteremo sempre con noi, nel cervello e nel cuore.
Ciao Tullio e grazie.



Franco Di Giangirolamo
Presidente NEXUS CGIL
Emilia Romagna