Il telelavoro e le condizioni di salute e sicurezza nel lavoro. Traccia dell'intervento svolto da Gino Rubini al Seminario IRES -Cgil - 5 febbraio 1997 - Roma

La Direttiva 391.89 che sta alla base della recente legislazione italiana in materia di salute e sicurezza nel lavoro ha come premessa "il miglioramento delle condizioni di salute e sicurezza nel lavoro".

La Direttiva é stata pensata e implementata in una condizione diversa da quella in cui stiamo vivendo, nella seconda metà degli anni 80.

Il modello originale di riferimento sul quale é stata implementata la direttiva era quello dell'Azienda di media grandezza (oltre i 200 dipendenti) con dipendenti stabili e con una organizzazione del lavoro basata sulla continuità - stabilità delle prestazioni lavorative. La realtà assai più complessa della articolazione del tessuto produttivo italiano e in particolare della regione in cui opero hanno prodotto una serie di accorgimenti contrattuali per rendere applicabile la norma: si pensi alla mutualizzazione della figura del RLS.

I processi di riorganizzazione delle imprese e le nuove forme di organizzazione del lavoro, nell'epoca nella quale viene implementata la Direttiva Quadro e le direttive specifiche , non erano che agli inizi. In questo senso, quindi, occorre molta attenzione a definire il dlgs 626.94 e le direttive in esso recepite come strumenti sempre puntuali e in grado di corrispondere alle molteplici esigenze e forme di organizzazione del lavoro nelle quali i lavoratori si trovano ora.

In ogni caso in merito al tema del telelavoro mi sono sforzato a delineare come potrebbe -dovrebbe essere utilizzata la metodologia di "risk assessement" e di "risk management" che la nuova legislazione consente.

Innanzitutto occorre precisare che il rapporto salute-lavoro ha subito una profonda trasformazione per quanto attiene la qualità dei rischi e i nuovi aspetti di patologia da lavoro. E' sicuramente un fatto positivo che nell'insieme delle attività produttive vi sia stato un rilevante passo in avanti: in questi ultimi anni é molto più difficile che un lavoratore subisca una intossicazione acuta da sostanze chimiche, mentre sono in rilevante crescita una serie di patologie correlate alle nuove forme di lavoro flessibilizzato.

La Fondazione di Dublino ha svolto una Ricerca in 15 Paesi della UE. Il rapporto non ancora pubblicato, ma segnalato dal newsletter del BTS, riporta una denuncia molto severa delle attuali condizioni di lavoro. Il 40% dei lavoratori hanno posizioni di lavoro disagiate e più della metà non hanno possibilità di influire direttamente su parametri elementari come illuminazione e temperatura.

La ricerca riporta la denuncia del peggioramento dei carichi di lavoro e di ritmi (rispetto alla stessa ricerca svolta nel 1991, si registra un incremento di 6 punti). Questa intensificazione é direttamente correlata alla durata del lavoro, i disagi sono più elevato dove la durata del lavoro é più ridotta. La tendenza alla riduzione del tempo di lavoro rafforza la necessità per le OO.SS di affrontare le questioni riguardanti la OdL.

L'autonomia nel lavoro resta nell'insieme limitata: un terzo dei salariati dichiarano di non avere alcuna influenza sulla organizzazione dei rimi di lavoro e il 42% dichiara di non potere scegliere il momento per fare una pausa. E' noto come la combinzione di un carico di lavoro elevato e di una debole autonomia é fonte potenziale di stress e fatica nervosa.: il 28% dei lavoratori intervistati lamenta disagio da stress. I danni muscolo-scheletrici deriva da un carico di lavoro eccessivo: il 30% dei lavoratori presi a campione della ricerca dichiara dolori alla schiena.

Si tenga conto che questi problemi non riguardano solo il lavoro manuale ma anche le aree impiegatizie che operano al vdu.

La ricerca rileva scarti importanti tra paesi, settori professionali, differenze tra uomini e donne e regole. Dalla ricerca emerge chiaramente che precarietà e condizioni disagiate di lavoro sono sistematicamente associate.

I nuovi modelli di management hanno condotto a numerose riduzioni massicce degli effettivi in molte aziende , al ricorso massiccio agli appaltie subappalti in innumerevoli situazioni lavorative anche di tipo impiegatizio. A forme di lavoro "atipico" e flessibilizzato.

Se questo é il quadro dei lavoratori normali, non teleubicati altrove rispetto alla azienda, occorre che vi sia un approccio attento alla qualità della diffusione del telelavoro.

Innanzitutto se si vuole essere dentro alla filosofia preventiva occorre che vi sia la definizione di una "procedura-base" ben progettata per la "valutazione dei rischi e degli impatti "per ciascuna postazione di lavoro che viene teleubicata.

Sia chiaro, in questo senso non faremo riferimento ai "cottages telematici" ove in una determinata zona o paese si ritrovino più "telelavoratori", poichè questi necessariamente dovranno essere predisposi e organizzati come unità produttive sottoposte come qualsiasi ufficio aziendale al rispetto delle norme per la sicurezza.

Faremo riferimento invece al tipico telelavoro a domicilio del telelavoratore che dovrà essere adeguato dal punto di vista ergonomico e sotto controllo per quanto attiene la emissione di sostanze nocive (stampanti laser, fotocopiatrici, ecc.)

La valutazione dei rischi preventiva dovrebbe avere come riferimento il cambiamento che la introduzione di una postazione di telelavoro può produrre.

Alcuni parametri da prendere in considerazione: - la dimensione della abitazione - luminosità e qualità della illuminazione del locale - la affidabilità e sicurezza dell'impianto elettrico - la compatibilità di una attività che richiede il telefono nelle ore notturne con la tranquillità del riposo dei famigliari - la ergonomicità dei mobili della postazione - la qualità delle attrezzature informatiche che sono date in dotazione, in particolare il monitor e la CPU (rumorosità e schermatura - rumorosità del modem in fase di collegamento nelle ore notturne,ecc.)

In sostanza tutti questi aspetti vanno valutati prima di "impiantare" la stazione di lavoro, tenendo conto di problemi tipici dell'Italia: la dimensione assai piccola delle abitazioni tipo che vanno dagli 80 ai 120 mq. In molti casi vi potrebbe essere una logica di sacrificio di spazi destinati alla vita famigliare (una stanza) per dedicarla al telelavoro.

Il numero dei componenti della famiglia diviene rilevante per una valutazione della sostenibilità della conversione di parte della casa per una attività di telelavoro. Ho visto dalla letteratura che questi aspetti grezzi e materiali non sono stati presi in adeguata considerazione. Forse perché non si tiene conto che la dimensione delle abitazioni italiane é assai più piccola di quelle statunitensi. (Verificare dai dati Istat questi aspetti).

In secondo luogo occorre una analisi puntuale delle caratteristiche della illuminazione artificiale e naturale nonché degli aspetti organizzativi della casa.

Non dimentichiamo che la casa stessa è una delle maggiori fonti di rischi di incidenti domestici: la messa a norma dell'impianto elettrico (legge 46/90) é non solo un obbligo formale: si tenga conto che molte abitazioni per ritardi condominiali non sono a norma.

In sostanza vi sono problemi che saranno comunque di impaccio per il lavoratore che intende attrezzare una parte della propria abitazione per il telelavoro.

Un secondo aspetto riguarda la potenziale rischiosità, se collocati in ambienti inadeguati, degli strumenti di fotocopiatura o di stampa laser, in particolare nelle fasi di cambio del toner ma anche nella fase di esercizio.

1.2 Gli accordi sinora sottoscritti

Negli accordi sinora sottoscritti vi é una formale dichiarazione delle parti che non sostanzia quali siano le azioni preventive che saranno adottate nella strutturazione delle postazioni di telelavoro. Verosimilmente dovrebbe essere esplicitata la sequenza procedurale di "risk assessement" e di "risk management" per la valutazione del rischio congiunta, in modo da implementare in modo corretto le postazioni.

Questa parte manca nel testo degli accordi, così come é assente un impegno chiaro per quanto riguarda le informazioni e la formazione specifica per la salute e la sicurezza. Occorre che i sindacati di categoria elaborino a questo proposito un percorso chiaro e certo che sia tale da impegnare le aziende che distribuiscono telelavoro a svolgere le azioni preventive adeguate come effettivamente previsto dal dlgs 626.94

Esiste poi un problema di autogestione per quanto attiene il tempo di lavoro al FD. Su questo occorre sviluppare una analisi delle situazioni di fatto ed elaborare richieste puntuali, al fine di evitare situazioni extranorma.

Il rapporto con le istituzioni che hanno compiti di vigilanza e controllo.

In questo ambito la situazione del telelavoratore é assai ambigua.

Infatti l'autotutela é primaria rispetto ai lavoratori che lavorano in sedi della azienda. Infatti é inverosimile, data la delicatezza della legislazione che protegge il domicilio, che ispettori delle Aziende Usl vadano a ispezionare il domicilio del telelavoratore.

In ogni caso ciò può avvenire solo con il consenso del telelavoratore ...o .. molto improbabile su sua richiesta...

La legislazione pertinente sarebbe quella del lavoro a domicilio...ma ne conosciamo tutti la scarsa efficacia in materia.

Quindi le condizioni di salute e sicurezza sono affidate al comportamento aziendale e alla forza contrattuale dei lavoratori.

Il Code of Practice

E' evidente che in questa area di lavoratori occorrerà sviluppare una serie di accordi regolati da un Codice generale di buone norme pratiche.

In questo ambito non é immaginabile uno schema unico che regoli la organizzazione del lavoro più ergonomica o più sostenibile per quanto riguarda i telelavoratori.

Ogni tipo di lavoro, e sono una molteplicità, richiede una regolazione ottimale che solo un forte impegno categoriale può implementare un codice più generale di comportamenti corretti sulla base del quale agire con correttivi su misura.

Articolazione da una parte ma anche un riferimento o una "sponda sindacale intelligente" cui il telelavoratore possa fare riferimento rispetto agli aspetti di distorsione che questa nuova condizione può produrre sono necessari per evitare che elementari diritti come quello della prevenzione e tutela della salute non siano anch'essi teleubicati altrove.

I profili di rischio

Questa breve annotazione integrata con gli aspetti che ha sottolineato il Prof.Rebecchi non intende esaurire il problema della valutazione e definzione dei rischi attesi nell'ambito del telelavoro.

Elenchiamone alcuni:

- Disturbi al visus per operatori che hanno già difetti alla vista per prolungato uso del VDU. Si adottano le stesse indicazioni per gli operatori ai VDU in Azienda. (Visita oculistica periodica - lenti e correzioni adeguate)

- Disturbi e danni osteoarticolari. I lavoratori vanno informati e va praticata una attenta scelta dei mobili e delle sedie da lavoro che siano ergonomiche.

- Affaticamento da interfacce software inadeguate o poco "amichevoli": anche in questo ambito vanno previste le misure di adozione di software avanzato e di buona fattura ergonomica.

In questo ambito, per quanto attiene i controlli sanitari periodici, i telelavoratori debbono godere delle stesse misure di protezione dei lavoratori dell'azienda.

Bologna 4 febbraio 1997